Ci sono un paio di affermazioni, in questa intervista, che mi colpiscono particolarmente. La prima è relativa alla necessità, per creare buona letteratura, di “solitudine e concentrazione” e, aggiungerei io, di molto tempo; l’altra è legata alla necessità altrettanto sentita di scrivere per “superare l’io ed esplorare la cultura, l’anima e Dio”, di superare cioè, il narcisismo, il racconto fondato sull’elaborazione di esperienze troppo esclusivamente personali e di rivolgersi di nuovo alla elaborazione del presente e del passato. Ne risulterebbe un tipo di letteratura più complessa, giustamente problematica, certamente meno allettante dal punto di vista commerciale. Ma la letteratura ha, da che mondo è mondo, avuto un ruolo civile preciso; mai come in questo momento c’è bisogno di ricordarlo.
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